ROMOLO TAVONI, IL RAGIONIERE DELLE CORSE.

La figura è elegante, a dispetto dell’età e di qualche acciacco riceve gli amici o quanti vogliono incontrarlo molto volentieri. Apre la porta della sua casa e ci accoglie con una voce ancora austera e ferma. Il taccuino, le foto, il registratore o lo smartphone, c’è l’imbarazzo per il cronista su che cosa fissare quel fiume in piena di ricordi, aneddoti e episodi che racconta con passione, quasi fossero successi ieri, ed invece abbracciano più di mezzo secolo di storia dello sport auto, vissuta dalle stanze dei bottoni all’asfalto delle piste. Sempre in prima linea, meglio in pole position visto l’argomento, per lui arrivato quasi per caso in un mondo che non conosceva. Fresco di diploma comincia alle Officine Alfieri Maserati, poi prevale il desiderio del posto fisso e sicuro, e si ritrova giovane ragioniere di una banca. E’ l’Istituto Bancario che lo manda in missione alla Ferrari, Il compito è di tenere sotto controllo i conti dell’azienda del cavallino che passavano attraverso un prestito dell’Istituto stesso. Lavora, letteralmente parlando, al fianco del signor Enzo, nella stessa stanza con un tavolo, due sedie ed un armadio. Il caratterino del commendatore non tardò a manifestarsi, ma niente di preoccupante quando urlava, il problema vero era quando stava in silenzio. Finito il suo compito ed in procinto di tornare alla sede Enzo Ferrari, che evidentemente lo ritiene prezioso, lo assume direttamente, così comincia la sua “carriera”. Non esiste un ruolo ed una mansione, si lavora e basta, in azienda o sui circuiti, in Italia e nel resto del mondo. Sono gli anni in cui il cavallino rampante diventa leggenda, con le vittorie a grappoli nelle corse più importanti, dalla formula uno agli sport prototipi. Trionfi che servono ad incentivare le vendite. Ricorda ancora bene come nel mese successivo ad una vittoria di Le Mans gli ordini raddoppiavano, osservazione che ci riporta il pragmatico ragioniere sempre attento ai conti. Ma ovviamente è la parte sportiva che prende il sopravvento negli episodi, nelle storie e nelle vicende umane che hanno arricchito e riempito la sua esistenza di sensazioni e di emozioni irripetibili. Conoscendo la nostra provenienza inevitabile parlare di Eugenio Castellotti, la distanza del tempo attenua il dolore ma non la memoria, per lui e per il gruppo di piloti definiti “gli indisciplinati” (cit. da Luca Delli Carri), storie di vite vissute nel mito della velocità, consapevoli che ad ogni curva un rischio, con il traguardo che troppo spesso non era rappresentato dalla bandiera a scacchi. Con loro un elenco infinito di nomi, di uomini e di donne, vicende intrecciate, nel bene e nel male, nelle gioie e nelle tragedie. Tanti episodi finiti in dramma e qualche curiosità degna di telefilm d’azione, come si diceva una volta. Così è il racconto del G.P. del Venezuela che sanciva la vittoria nel mondiale marche del 1957, a scapito di Maserati, l’avversario scomodo posto all’altro lato della via Emilia. La missione di vincere gara e mondiale è portata felicemente a termine. Il problema è portar fuori da quel paese il trofeo destinato al vincitore, qualche chilo d’oro che suscita l’interesse di molti e mette nel dubbio l’onestà di tanti. Viene studiato un percorso alternativo dal circuito all’aeroporto, con l’aiuto di un residente italiano che lavora per una compagnia petrolifera e tra autocisterne, bagagliai, doppifondi e finte valigie il trofeo arriva nella bacheca di Maranello. E’ l’ATS con il gruppo di tecnici e dirigenti fuoriusciti da Ferrari che lo allontana dall’azienda. L’ avventura finisce molto presto, errori madornali nella conduzione finanziaria e mondo delle corse sembra destinato per lui a restare un ricordo del passato. Un uomo con la sua esperienza e capacità non può non destare interesse e arriva la chiamata dell’ACI Milano, che significa in sostanza Monza. Romolo Tavoni diventa così il braccio esecutivo di Luigi Bertett, presidente del sodalizio milanese, sarà lui a tradurre in pratica un’idea del dirigente milanese che si rivelerà geniale: la creazione di una formula addestrativa per giovani piloti. Nasce così la Formula 875 Monza e anche il mito di Tavoni, associato per sempre a quel straordinario periodo sportivo. Un progetto che non avrà più eguali, fatto non solo da un’idea di vettura, ma legato alla logistica del circuito, alla giornata di gare e all’economia dei partecipanti, vedi prove gratuite e semplicità regolamentari. Con il tempo e successivi passaggi la categoria ha poi perso il suo valore formativo e, ad oggi, possiamo considerarla come una eredità che è andata purtroppo dispersa. Non è certo qualche campionato monomarca, più o meno sostenuto da federazioni od enti sportivi generalisti, con costi comunque insostenibili, che possa paragonarsi al glorioso passato. Da qui forse anche la mancanza di piloti italiani agli alti livelli internazionali nel settore monoposto. Tutto questo lo vede naturalmente sempre attento e curioso, ma il tempo trascorso è veramente tanto e il rammarico non può tradursi, per la sua generazione, in azione, mentre per quelle nuove sembra contare di più l’apparire che l’essere, con le scuole piloti sostituite dagli addetti stampa e dai manager, attenti al colore della vettura o del casco, alla location, alle ospitality e con la pratica in pista comprata su Google Play. Per rifarci da questo velo di amarezza, torniamo con lui al mito del passato e ripassiamo, sfogliando il libro Melegnano Motori, le tante storie che riguardano proprio l’epopea delle “pettarelle”. Poi la nostra cronaca della tappa di Lodi della Mille Miglia gli ricorda un suo ultimo passaggio da Guidizzolo (MN), cittadina che vide l’incidente di De Portago con la Ferrari, episodio che mise fine, oltre alle vite delle vittime, alle corse su strada in Italia. Un ricordo struggente, il riconoscimento del corpo che dovette fare nella sua qualità di rappresentante della Ferrari, del pilota spagnolo, uno degli “indisciplinati”, che al pari di Eugenio Castellotti diede molto lavoro alla stampa “rosa” dell’epoca. Nell’occasione lo lasciò di stucco la visione del monumento, posto in quel luogo; non si capacitava dell’aspetto poco curato, irrispettoso per i caduti di quella tragedia, tanto da recarsi in Comune, non solo per protestare, ma offrendosi per le spese occorrenti a ridare dignità a quella gente e a quell’episodio. Finisce così, tra dediche ed autografi; vuole anche il nostro sul libro che gli abbiamo donato e che oggi è là, su quella mensola prestigiosa, insieme a chissà quali storie e quali scrittori. Lo abbracciamo, non solo idealmente, e ci invita a ritornare, quando in realtà noi non vorremmo proprio andarcene, per sentire e gustare chissà quante altre storie. Lui prende la bandiera a scacchi e sale sul podio di Monza, la sventola con autorità scrivendoci un’ultima dedica: “Questa è la parte che mi ha dato più soddisfazione, Romolo Tavoni”.
(P.S. Ringraziamo l’amico Lello Soncini che ci ha “raccomandato”, aiutato e accompagnato in questo incontro. La dedica di Romolo Tavoni è sulla fotografia posta sul libro “TROFEO CADETTI: una storia che continua”, di Massimo Ciampi e Roberto Chinchero – Promit Edizioni – 1996)