Libri:Volevo regalarti un sogno di Franco Barin
Monza. E poi basta. Perché Monza basta e avanza per descrivere la storia dell’automobilismo e quella di una passione. Il resto è marginalità, brandelli. Soprattutto quando si parla di una famiglia che ha percorso un pezzo di vita in parallelo con quanto accadeva all’Autodromo. È a Monza che ho conosciuto il papà, persona deliziosa, colta, competente, saggia nel valutare piloti e corse. È a Monza che ho conosciuto il figlio, seguendone poi via mail le tappe che lo hanno portato a competere e anche a ottenere successi in campo lavorativo. Sullo sfondo la mamma, il fratello. Monza come baricentro di tante cose. Di attimi felici quanto indimenticabili, di intensi momenti in cui la tristezza, per un attimo, è stata spazzata via dalla vicinanza delle macchine, della pista. E alla fine resta l’essenza di un’idea di destino che si permea di sentimenti contrastanti che diventano forza per andare avanti, per continuare, per non arrendersi dinanzi a nulla. Un messaggio che va oltre una bellissima storia e sfocia in speranza per tutti noi.
(Giuseppe Allievi)
La passione per le corse è comune a molte persone, e non lo scopro certamente io, che ho avuto la fortuna di poter gareggiare e togliermi anche qualche bella soddisfazione. Quello che rende speciale la passione di Franco Barin per l’automobilismo è la lunga sequenza di una storia cominciata tantissimi anni fa, quando ancora i prototipi di Ford e Ferrari correvano sul leggendario anello di velocità a Monza. In un momento in cui i responsabili della Formula 1 sono incerti sulle strade da prendere per ritrovare interesse nei confronti dei Gran Premi, sarebbe il caso che leggessero questo libro. Qui si capisce perché vale la pena di guardare le corse, come nasce la passione e che cosa la coltiva lungo il filo degli anni. Si capisce quanto importanti siano le figure dei piloti e anche quelle dei papà che hanno tramandato, di generazione in generazione, la passione ai propri figli. Si capisce infine perché si ha voglia di mettersi in discussione, di scendere in pista e misurarsi con gli altri anche se le macchine hanno da sempre la loro importanza nella prestazione finale. Mi ha particolarmente commosso la cocciutaggine di Franco nel voler diventare pilota continuando lungo il solco tracciato da un papà che mai avrebbe immaginato di vederlo scendere un giorno in pista. La storia di questa passione è un po’ quella di tutti noi, e sono sicuro che piacerà moltissimo a chi ama davvero l’automobilismo.
Gabriele Gardel
“Volevo regalarti un sogno…” è costruito con parole che, come frammenti di memoria, rendono vivi e pulsanti questi ricordi di Franco Barin dedicati al padre. Coraggiosamente e con invidiabile spontaneità, Franco si addentra nelle zone del silenzio e nei recuperi dei bagliori di vita del suo amato Papà. Il testo alimenta una quantità di frammenti esistenziali che ci appassionano sul filo dei 300 all’ora e rendono presente la memoria, liberano l’energia vitale che il ricordo vibrante di un padre porta sempre con sé. Lo sguardo di un Papà dalle tribune, ad ammirare i figli piloti, è cristallino, come sicura è la narrazione di Barin nell’attraversare le stagioni della vita, nel percepire e riportare le vicende umane che si velano, a volte, di lacrime amare, talora di aneddoti gustosi, altre volte di amorevoli ricordi e, sempre, di un sottile rimpianto davanti all’inesorabile scorrere del tempo.
Sfogliamo così in queste pagine la vita privata di Franco Barin che si ritrova a pensare a questo universo di emozioni, a camminare lentamente con il cuore, mentre in realtà corre sulla pista che conduce
al podio. I dolci ricordi del padre con il suo sorriso e la figura di maestro di vita e di passioni diventa poi il simbolo della vita stessa.
L’immagine di quei nastri d’asfalto, di quei piloti, delle livree da corsa delle carrozzerie ritorna nei ricordi di Franco Barin, come le suggestioni di luoghi vissuti ‘insieme’ e mai dimenticati come elementi fondamentali che lo accompagnano nel cammino umano.
Questo libro, così lo vogliamo definire proprio perché non è opera di uno scrittore, conduce con il pretesto dello sport nel luogo dell’anima, all’isola mentale, che rende più forti e capaci di affrontare il domani sperando che il tempo non sia passato invano. Franco Barin, attraverso i suoi ricordi, intensi e profondamente sentiti, recupera non solo il suo vissuto in una famiglia felice, ma innalza una voce che si fa emozione e, infine, come a suggellare il suo desiderio di regalare e di regalarci un sogno meraviglioso, si ritrova ad osservare il meglio di questa nostra vita.
Luca M. Venturi
In quasi tre decenni di lavoro nella sala stampa dell’Autodromo di Monza ho visto passare tante, tantissime persone: famosi o aspiranti tali, educati o prepotenti, sfacciati o timidi, strambi o anonimi. Tra loro, un paio di svizzeri, simpatici e ben poco “svizzeri”: quello con la faccia da bancario, ironico e divertente; l’altro, alto, goffo e arruffato che ispirava subito simpatia e fiducia.
Il primo era Andrea, al quale la sorte ha giocato un tiro crudele, lasciandoci tutti dolorosamente storditi. Il secondo, Franco, è rimasto un fedele frequentatore della sala stampa. A volte arriva trafelato, con addosso ancora la tuta da pilota (appena tolto il casco, è più arruffato che mai) per prendere i fogli dei tempi e commentarli con i presenti. Altre volte, arriva sempre trafelato ma con tanto di borsa e macchine fotografiche a tracolla, in veste di fotografo regolarmente accreditato. Però, un po’ svizzero lo è: in questo ambiente in cui l’apparenza conta più della sostanza e la chiacchiera può intaccare una reputazione, quelli come lui si distinguono. Serio, essenziale, simpatico, mai sopra le righe. Grazie, Franco, per aver condiviso anche con me le motivazioni che ti hanno spinto a scrivere questo libro. Ne sono commossa ed onorata. La parola “fine” dell’ultima pagina ti aprirà nuovi orizzonti, soprattutto personali, perché la tua perseveranza per il raggiungimento della meta significa che hai arricchito non solo il tuo palmarés di sportivo ma, soprattutto, quello di uomo e di figlio.
Umberta Testa
Tratto da www.suissesport.ch