WORK IN PROGRESS IN ALFA DELTA – ALFA ROMEO 155 V6 TI DTM

roberto_2012

Babbo Natale è passato in anticipo da Marnate, lasciando uno spettacolare regalo: l’Alfa Romeo 155 V6 TI DTM. Scherzi a parte, nei giorni scorsi è arrivato presso l’officina Alfa Delta uno dei pochi esemplari delle Alfa Romeo 155 che parteciparono al DTM 1993, anno in cui furono schierate praticamente solo vetture ufficiali. In base all’accordo con il Kessel Racing, i tecnici della squadra varesina si occuperanno nei prossimi mesi del restauro completo della vettura, che potrebbe essere schierata in seguito nella serie DTM Classic che sta riscuotendo grande successo. La vettura, ferma da molti anni, sarà completamente smontata per verificare tutte le componenti, dal telaio alla parte meccanica, separando quelle da revisionare con le altre da sostituire oppure mancanti, realizzandole ex novo. Tra queste sicuramente la sofisticata gestione elettronica. Saranno smontati e sottoposti a revisione completa anche i due motori V6 2.5, che nella prima versione erano accreditati di circa 420 a 11.500 giri/min, così come la sofisticata trasmissione a quattro ruote motrici. Insomma, un altro grande impegno per Alfa Delta, per il quale sarà creato uno spazio dedicato, in vista di una stagione 2023 che si preannuncia ricca di programmi di alto livello.

Evoluzione della specie
Intanto ricordiamo, a grandi linee, cosa prevedeva il regolamento il regolamento DTM e, di conseguenza, com’era fatta la prima versione della 155 V6 TI. La formula del DTM prevedeva vetture con cilindrata massima di 2,5 litri e frazionamento massimo di 6 cilindri, derivate da modelli omologati e prodotti in 25.000 esemplari. A differenza di quanto avveniva per altre categorie non era necessario omologare automobili stradali in versioni speciali, dato che il regolamento permetteva di modificare profondamente la vettura da corsa, pur mantenendo le fattezze esterne del modello stradale.

Infatti la 155 V6 TI schierata nel 1993, esteticamente riproduceva praticamente le stesse linee della “sorella” stradale, anche se in realtà era un vero e proprio prototipo nel quale meccanica e carrozzeria erano profondamente rivisti per l’utilizzo nelle competizioni. Il telaio era di tipo tubolare, costituito da una complessa struttura a traliccio di tubi di acciaio che nella parte anteriore ospitava il motore, posizionato molto in basso e arretrato a vantaggio del baricentro.
La larghezza della vettura da corsa dipendeva da quella del modello stradale omologato, che in effetti venne modificato per sfruttare questo dato. Il regolamento, in base a determinati parametri, consentiva poi di allargare le carreggiate di 10 cm. Le sospensioni anteriori e posteriori erano a quadrilateri deformabili con puntoni push-rod, con il motore che fungeva da elemento portante. L’impianto frenante era dotato di un sofisticato sistema ABS racing Bosch, mentre dischi autoventilati in acciaio e pinze erano della Brembo, utilizzando tecnologie da Formula 1.
Per quanto riguarda la carrozzeria, il regolamento oltre a consentirne la costruzione in composito concedeva una certa libertà nella parte inferiore, dalla mezzeria delle ruote, per la realizzazione di prese d’aria, sfoghi e appendici libere. A livello aerodinamico la normativa imponeva un fondo piatto del corpo vettura per limitare l’effetto suolo e il carico entro un limite di 800 kg alla velocità massima, compresa l’ala posteriore e lo splitter anteriore.
Il motore, come richiesto dal regolamento, derivava come angolo bancate e interasse da uno di serie. Inizialmente si pensava dal V6 2.5 “Busso” derivato dalla Montreal, mentre anni dopo l’ing. Limone pare abbia rivelato trattarsi del V6 PRV montato in origine sulla Lancia Thema V6. In ogni caso la meccanica era molto raffinata, con materiali e tecnologie a livello, anche in questo caso, di Formula 1: monoblocco e testate realizzate dalla Cosworth, con angolo a V di 60°, quattro valvole per cilindro, successivamente con richiamo pneumatico, e doppia accensione, lubrificazione a carter secco, per una potenza massima iniziale di 420 CV a 11.500 giri/min. La trasmissione era composta da un cambio sequenziale elettroidraulico a 6 rapporti, con bilancieri al volante, e la trazione integrale permanente era assicurata da un differenziale centrale a bloccaggio controllato elettronicamente e due differenziali autobloccanti regolabili, anteriore e posteriore, così come poteva essere variata la ripartizione della coppia tra i due assi.
Ma la componente ancora più sofisticata era probabilmente la parte elettronica, dotata di tre centraline elettroniche specifiche per motore, trasmissione e ABS, che dovevano dialogare tra loro per massimizzare le prestazioni.
L’Alfa 155 V6 TI in questa configurazione ebbe nettamente la meglio sulla Mercedes 190 meno potente e a trazione posteriore, oltre che della Opel Calibra V6 schierata solo nelle ultime gare della stagione, conquistando il titolo DTM con Nicola Larini e mettendo a segno 12 vittorie su 20 manche, 10 dello stesso Larini e 2 di Nannini.

Foto di Massimo Campi